In questo articolo ho cercato di dimostrare ogni misura e tutte le azioni che sono servite a rendere l’italiano più universale e più uniforme. Dopo l’unifacazione, Il nuovo regno d’Italia ha trovato un paese in cui la maggior parte del popolo, quasi analfabeta, utilizzava i dialetti propri delle differenti zone della penisola.
Quando si completata l'Unità di Italia con la capitale a Roma non esisteva una lingua nazionale. L'Italia non aveva subito un processo di centralizzazione di politica come era accaduto in Inghilterra o in Francia, dove il dialetto di Parigi è diventato lingua nazionale, ne una forte unificazione culturale come in Germania, dove la lingua usata da Lutero nella sua traduzione della Bibbia divenne la base della lingua.
Prima di presentare le scelte linguistiche dei intelletuali e sopratutto dello Stato, ho presentato il dibattito sull'esigenza di scegliere una lingua comune per tutta l'Italia il quale aveva coinvolto vari letterati come Carlo Cattaneo, Alessandro Manzoni, Francesco De Sanctis. Così anche la proposta di scegliere il fiorentino parlato come una lingua nazionale. Manzoni ha elevato il fiorentino a modello nazionale linguistico, con il suo romanzo storico, 『I promessi sposi』 che è diventato il testo di riferimento per il nuovo italiano della prosa.
Ho esaminato un avvenimento dell’unità di lingua non solo dal punto di vista linguistico, ma anche dal punto di vista legislativo e amminsitrativo. Così ho preso in esame i programmi scolastici dei ministri della Pubblica Istruzione e le azioni repressive del ventennio fascista con il quale si è inaugurata una fase di politica linguistica autoritaria.
Ho accennato anche le migrazioni interne dalle campagne alla città e da sud a nord le quali hanno contributo alla diffusione dell'italiano come lingua commune, e la legislazione linguistica, cioè i provvedimenti a favore dell’unità linguistica, e anche il contributo dei mezzi di comunicazione di massa.